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Il riconoscimento del relitto del regio sommergibile “Velella” quale sacrario militare subacqueo. E’ quanto chiede l’associazione Salerno 1943, che spera che venga seguito lo stesso iter dello “Scirè”. Il 13 maggio del 2003, a quasi sessant’anni dal suo affondamento, il relitto del Velella fu individuato da un gruppo di esperti subacquei a circa 8-9 miglia da Punta Licosa, a 138 metri di profondità e ancora pressoché intatto. Il suo affondamento è ricordato con una targa apposta nel porto di San Marco di Castellabate. “Riconoscere il sommergibile come “Sacrario militare subacqueo” – spiega l’avvocato Vincenzo Pellegrino, presidente dell’associazione Salerno 1943 – potrebbe rappresentare il substrato normativo su cui finalmente costruire nel tempo, a beneficio della Comunità tutta, un punto formale di ricordo in cui poter condividere una delle pagine più tristi e sanguinose della Seconda Guerra mondiale.
L’associazione Salerno 1943 si rivolge ai deputati ed ai senatori affinché si possa “seguire, per il Sommergibile Velella, lo stesso iter normativo che vede coinvolto il sommergibile Scirè ovvero quello di sensibilizzare l’attenzione -nella denegata ipotesi in cui per peculiarità non si dovesse ritenere applicabile la disciplina giuridica caratterizzante i cimiteri di guerra- sulla possibilità di creare una autonoma figura giuridica che disciplini la posizione dei sommergibili militari e, dunque, anche quella del sommergibile affondato a largo di Punta Licosa. Da questo substrato normativo, auspicabile in quanto necessario, – aggiunge il presidente Pellegrino – si potrebbero creare le basi per la costituzione di un museo interattivo in cui ricordare i 51 marinai del Velella, vittime inconsapevoli di un evitabile errore strategico che poteva e doveva essere evitato”.
Sull’argomento è intervenuto in diretta a Radio Alfa il Presidente dell’Associazione 1943 Vincenzo Pellegrino

LA STORIA DEL VELELLA

Il sommergibile Velella, varato nel 1937 nei Cantieri Navali di Monfalcone ed assegnato alla 42° Squadriglia Sommergibili di Taranto, fu impiegato nel mar Egeo, nel Mar Rosso e sulle coste dell’Africa settentrionale, nell’oceano Atlantico nonché nel Mar Mediterraneo. Nei primi giorni del settembre 1943, prima dell’ultima fatale missione, era ormeggiato nel porto di Napoli. L’unità fu destinataria dell’ordine di sbarrare il percorso a un convoglio nemico impegnato nel risalire le coste tirreniche alla volta di Salerno (cosiddetto “Piano Zeta”). Il Velella salpò dunque da Napoli il 7 settembre per non farvi mai più ritorno. Il sommergibile è passato alla storia per essere stato l’ultimo sommergibile perduto in guerra dalla Regia Marina contro gli Alleati. Nessuno dei 51 uomini dell’equipaggio (il comandante, il Tenente di Vascello Mario Patané, 5 altri ufficiali e 44 fra sottufficiali e marinai) si salvò, così come non si salvò il micetto Scheggia che da tempo -ricorda il Colonnello Severino nella sua ricostruzione- allietava la triste vita di bordo. Soltanto cinque ore dopo il sacrificio dell’equipaggio del Velella, il Generale Eisenhower annunciava su Radio Algeri la cessazione delle ostilità nonché la firma dell’armistizio con l’Italia”.

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Di Annavelia Salerno

Giornalista professionista a Radio Alfa, direttore responsabile di Voci dal Cilento, ma prima di tutto mamma, moglie, figlia e sorella

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