Il titolo è emblematico del nesso tra corpo e psiche: "Io che porto la giubba… Dall’endometriosi verso uno spazio differente" è il libro che parla di questa malattia e di come essa possa condizionare la vita di una persona, in questo caso di una donna, fino a stravolgerne i ritmi di vita, fino a portarla ad indossare una maschera, una giubba! Gli autori, non per caso, sono un ginecologo ed una psicologa, Rosario Idotta e Eva Gerace: un lavoro, "obbligatoriamente" a quattro mani, che descrive una malattia feroce, a volte invalidante, e i progressi della medicina per curarla, ma che vuole raccontare anche il dramma di chi la vive, di chi ne soffre a lungo prima di diagnosticarla, di chi ne è condizionato nella propria vita sociale e intima. Così parla Eva Gerace: "Una giovane sofferente di endometriosi si è definita con questa frase «Io che porto la giubba e la faccia mi infarino». Nasce da qui il titolo di questo libro. Colei che porta il "peso" di quel tessuto che si prepara per la scena della femminilità, … il peso del sangue, del tessuto che non le consente di muoversi e di uscire. La donna che soffre si "arma" e si "protegge" con un’armatura e la «faccia si infarina», con un doppio movimento: uno per poter andare verso il mondo e uno per darsi una parvenza di femminilità". Il libro, edito da Città del Sole, si basa sulle testimonianze delle pazienti, tratta temi quali l’epidemiologia dell’endometriosi, il dolore pelvico cronico, i percorsi clinici – diagnostici, la terapia, la endoscopia ginecologica e gli aspetti psicologici, senza tralasciare un fatto importante, e cioè che la ricerca è sulla buona strada e che si delineano sempre più chiaramente le possibili cause della malattia. Uno degli aspetti più interessanti del testo, che si articola in varie sezioni, è un interrogativo preciso: perché proprio nella nostra epoca, nella quale la donna ha conquistato spazi che mai aveva avuto, si è giunti a questi estremi di sofferenza? Il libro, realizzato in collaborazione con l’Associazione Italiana Endometriosi ONLUS, oltre ad essere un’utile guida informativa sulla patologia, analizza le cause che spingono la donna a percepire la femminilità come dolorosa, alla luce della cultura odierna. "Perché oggi la donna soffre nonostante abbia conquistato una posizione di indipendenza? La sua posizione è apparentemente migliorata, in realtà esistono ancora tante conquiste da fare. La donna soffre per non poter conoscere il suo vero posto nel mondo. Oggi è tutto centrato sull’immagine e l’avere: sembra non esserci tempo per riflettere. Il soggetto addormentato, senza identità, è impossibilitato a costruire la sua soggettività. La malattia, il dolore fisico o psichico mostrano ciò che la donna non è capace di capire, quello che ancora non può spiegare con le parole". Allora "la donna, che resta mortificata, per poter continuare a vivere, deve uscire e chiedere aiuto: occorre un ascolto sempre più attento e profondo, per sconfiggere il dramma della necessità di indossare quella maschera che oscura il sole della femminilità".