Tra i conventi ed i monasteri dell’antica Diano (oggi Teggiano), poche volte viene menzionato il ricovero ospedaliero degli Antoniani, che ebbe sede nella cappella di Sant’Antonio de Vienne extra muros. In realtà il culto al santo abate fiorì in modo speciale in Diano e nel Vallo omonimo; nella cittadina i luoghi sacri dedicati a Sant’Antonio erano ben due, di cui uno con titolo di parrocchia, esistente ancora oggi. Dell’altra cappella, che si delineava sul tracciato della Via Lunga (la strada di accesso alla cittadina, originaria), non rimane traccia, se non nei documenti, essendo stata abbattuta alcuni decenni fa, per costruirvi sopra una privata abitazione. La sorte dell’antico luogo di culto ha seguito quella nefasta di tante altre cappelle che un tempo costellavano il panorama extraurbano della città-museo; non a torto Teggiano era considerata la “città delle cinquanta chiese”.
La cappella di Sant’Antonio de Vienne, a cui era annesso un ospedale extra muros (per tutti i cittadini maschi) sito nella parte occidentale in vicinanza della porta, compare già nell’anno 1369. Dovrebbe essere la stessa cappella che nel 1384 viene definita “extra terram Diani”. Nel 1482 il precettore dell’ospedale di Sant’Antonio di Vienne a Napoli, conferisce al presbitero dianense, Nicola de Monsa, la facoltà di reggere l’ospedale di Sant’Antonio “extra moenia”, assegnandogli successivamente anche il beneficio della stessa cappellania. E’ importante il riferimento all’ordine religioso dei Canonici di Sant’Antonio, perché aggiunge un nuovo tassello alla storia della presenza di frati e monaci in Diano. Gli Antoniani ebbero origine in Oriente, nella Tebaide, per ispirazione della vita di Sant’Antonio Abate. Si trasferirono in Occidente (per via dell’espansione islamica) presso Vienne in Francia e diedero vita all’ordine religioso, reggendo chiese ed ospedali e curando il morbo dell’Erpes Zoster (il cosiddetto “Fuoco di Sant’Antonio”, ignis sacer o ergotismo). Nel 1298 si diedero una Regola conforme ai Canoni Agostiniani e si distinsero per l’abito nero con una grande Tau azzurra (la potenza di Sant’Antonio”) impressa sulla spalla sinistra. L’ordine assunse come simboli la campanella (con cui i frati annunciavano il loro arrivo per gli spostamenti e le questue) ed il Tau che ricordava la stampella usata dagli ammalati e la parola greca “Trauma” che significa “prodigio”. I frati allevavano poi i maiali di Sant’Antonio, che potevano girare liberi per la città e la campagna senza che alcuno facesse loro del male, ma anzi venivano nutriti e rispettati. I suini erano provvisti del campanello appeso al collo e con il grasso del loro macello si preparava l’unguento per lenire i patimenti agli affetti dal “fuoco sacro”. Sant’Antonio, come cappella, viene ancora nominata nella Santa Visita del vescovo caputaquense De Nicolai, nel 1715 e risulta di proprietà dell’abate Emilio Mondello, ma tenuta indecentemente. L’ospedale, annesso alla chiesetta extraurbana, era destinato a tutti i cittadini di Diano; gli altri due esistenti un tempo erano di Santa Caterina (poco distante da Sant’Antonio) per le donne e di Santo Spirito per i sacerdoti ed i nobili, oltre a quello di San Nicola, sito nella parte orientale di Diano, ma sempre fuori delle mura. L’iconografia del santo a Teggiano è molto ricca e variegata, con la presenza di tre statue, di cui una al Museo Diocesano, di una tela, posta nella cappella omonima che un tempo fu parrocchia e di alcuni affreschi nello stesso luogo. Il culto è sempre stato legato alla protezione degli animali domestici, per via del collegamento del santo ai maialini; tempo fa in Teggiano, così come a Polla ed in altri paesi del Vallo di Diano, in occasione della festività del santo (17 gennaio), si teneva una solenne benedizione degli animali utili al lavoro campestre e di quelli da cortile.